Care lettrici e cari lettori, questa settimana parliamo di un argomento davvero particolare che trovo estremamente interessante.
Si sa, quasi tutti i matrimoni, per quanto solidi, possono nascondere dei segreti più o meno importanti che possono riguardare, ad esempio, le reali capacità patrimoniali del nucleo familiare o i rapporti di uno dei coniugi con la famiglia dell’altro. Ma cosa accade se, invece, sono i coniugi ad avere dei segreti tra loro?
Pensiamo all’ipotesi in cui per anni una moglie nasconda al marito di avere un’occupazione da cui percepisce uno stipendio, nascondendogli altresì diversi conti correnti e diverse proprietà.
Ma pensiamo anche ad un marito che, per tutto il corso della vita matrimoniale, ha costretto la coniuge ad un regime di vita per così dire “al di sotto” delle proprie possibilità economiche, ben più corpose di quanto invece dallo stesso rappresentato alla consorte.
Ebbene, questi comportamenti sono leciti, oppure ci sono dei profili di responsabilità in cui il coniuge può incorrere?
Dobbiamo innanzitutto chiarire che non esiste una norma che impone ai coniugi di dirsi tutta la verità. Questo, tuttavia, non significa che ognuno di essi, pur nel vincolo matrimoniale, possa continuare a vivere una vita separata e parallela all’insaputa dell’altro: moglie e marito, infatti, devono comunque avere riguardo agli obblighi matrimoniali sanciti dalla legge e la cui violazione può avere pesanti conseguenze.
L’art. 143 del Codice Civile prevede infatti che entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
La nozione di contribuzione ai bisogni della famiglia deve essere intesa non soltanto nel senso di provvedere direttamente al soddisfacimento di questi, ma anche nel senso di non nascondere e, dunque, sottrarre a tali bisogni i propri guadagni, magari per destinarli ad interessi meramente personali.
Ne deriva che il coniuge che tenga nascosta la propria attività o la propria effettiva capacità economica all’altro, tiene una condotta contraria all’obbligo di contribuzione riconducibile alla categoria del cd. “tradimento finanziario” che, al pari del tradimento “tradizionale”, può portare addirittura all’addebito della separazione.
Ebbene sì perché, quando la crisi coniugale sia scaturita proprio dalla violazione di un obbligo matrimoniale – quale il dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia – allora si accende la “spia” dell’addebito della separazione.
Pensiamo ad esempio alla moglie che, dopo anni, scopre che il marito ha beneficiato di un aumento di stipendio che ha tenuto tutto per sé (di fatto non contribuendo proporzionalmente al mantenimento della famiglia) circostanza che ha determinato un’insanabile crisi tra marito e moglie: in questo caso non solo si ha una chiara violazione dell’art. 143 del Codice Civile, ma da tale violazione discende anche il venir meno dell’affectio coniugalis, elementi che permettono di poter pensare utilmente all’ipotesi della separazione con addebito a carico del marito.
COSA NE PENSO IO?
Credo che a prescindere anche dal diritto alla riservatezza e alla privacy dei coniugi, sia fondamentale, all’interno di una coppia, improntare ogni azione ed ogni reazione alla sincerità e alla lealtà, elementi che non solo sono in grado di dirci lo stato di benessere del rapporto, ma ci assicurano anche di operare correttamente, al riparo da pericolosi “effetti collaterali” come quello sopra descritto.
Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.
Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.
Avv. Fulvia Fois