ROVIGO – Benedetto dal presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini è stato inaugurato il più grande impianto industriale per la produzione di biometano d’Europa, frutto della collaborazione di 17 aziende agrozootecniche, a Schiavon, in provincia di Vicenza.
“Un’opera innovativa ed a impatto zero? – si chiede Vanni Destro per la rete dei comitati ambientalisti della provincia di Rovigo citando le parole usate all’inaugurazione – Vediamo”.
Vanni Destro riporta quanto è stato spiegato, ovvero che nella realizzazione di una sezione di produzione del biometano, in coesistenza con l’impianto di produzione di energia, consistente in
-un impianto di depurazione e upgrading del biogas;
-un impianto di compressione del biometano;
-una stazione di caricamento del biometano su carri bombola;
per la produzione del biogas vengono utilizzatti:
–sottoprodotti di origine biologica provenienti da attività di allevamento (effluente zootecnico bovino, palabile e non palabile) di provenienza extra-aziendale, pari a 49.188 tonnellate all’anno tal quali (84 % della biomassa complessiva);
–sottoprodotti di origine biologica provenienti da attività di allevamento (effluente avicolo – pollina) di provenienza extra-aziendale, pari a 1.631 tonnellate all’anno tal quali (3% della biomassa complessiva);
–sottoprodotti della lavorazione della barbabietola da zucchero (melasso), pari a 730 tonnellate all’anno tal quali (>1% della biomassa complessiva);
–sottoprodotto della lavorazione dei cereali (cruscami e farinette), pari a 110 tonnellate all’anno tal quali (<1% della biomassa complessiva);
–prodotti di origine biologica (coltivazioni agricole dedicate), compresi quelli residuali non costituenti rifiuto, ottenuti dalla coltivazione su terreni propri e in affitto, ovvero acquistati sul mercato, alle condizioni previste all’articolo 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali ottenute dalle produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuate da imprenditori agricoli), pari a 6.650 t/a t. q. (l’11% della biomassa complessiva).
“Qual’è il bilancio energetico di un tale impianto?” si chiedono i comitati polesani.
“Considerando l’utilizzo di energia per le coltivazioni dedicate, dalla fertilizzazione al raccolto, per i trasporti del materiale in entrata e uscita dall’impianto direi ridicolmente insignificante.
E, considerando che si tratta comunque di un gas che per produrre energia deve essere combusto, produce comunque gas serra, e c’è anche quello di risulta dalla raffinazione da biogas a biometano di cui non è ancora certo il recupero e l’utilizzo non si può certo definire un processo rinnovabile a impatto zero o davvero economia circolare. Oltretutto produce un notevole quantitativo di digestato non facile da smaltire tal quale.
Di sicuro favorisce gli allevamenti intensivi che, oltre alle vergognose condizioni in cui si tengono gli animali, sono un’altra importante fonte di emissioni di gas serra.
Gode di importanti incentivi economici, senza i quali non si sosterrebbe economicamente, dal livello regionale a quello europeo, 1 miliardo e 700 milioni di euro stanziati solo qualche mese fa e la copertura del 40% dei costi di realizzazione degli impianti, sottraendo fondi da destinare alle rinnovabili vere come fotovoltaico ed eolico. Soldi nostri” conclude Destro.
“A chi convengono davvero questo tipo di impianti? – la domanda retorica di Vanni Destro per la Rete dei comitati polesani a difesa dell’ambiente – Ai cittadini no di sicuro” l’ovvia risposta.