In 183 senza il Reddito di cittadinanza. Cgil Rovigo lancia l’allarme

"Una decisione del governo Meloni strumentale per meri calcoli di consenso elettorale" secondo Pieralberto Colombo, segretario generale del sindacato

ROVIGO – Il segretario generale Pieralberto Colombo commenta le disposizioni dell’attuale Governo che, dalla fine di luglio scorso, ad un’ampia platea di beneficiari ha revocato l’erogazione del reddito di cittadinanza (RdC).

“Si tratta di persone nei cui nuclei familiari non è presente un minore o un disabile o una persona – compreso lo stesso percettore – con oltre 60 anni d’età o che sia già stata presa formalmente in carico dai servizi sociali per la propria fragile condizione sociale” spiega Colombo. “Sono i cosiddetti “occupabili”, concetto di per sé già piuttosto vago e riduttivo che tiene esclusivamente conto degli indicatori sopra citati. Il RdC potrà essere riattivato solo alle persone che saranno formalmente prese in carico dai servizi sociali nei prossimi mesi, se certificate dagli stessi come socialmente fragili.

Per quanto riguarda la Provincia di Rovigo si tratta al momento di 184 persone. Tale numero sarà certamente in aumento dato che la nuova norma parla di 7 mesi massimo di possibilità di percepire il RdC nel 2023 per questa categoria di persone; pertanto chi avesse iniziato a percepirlo a febbraio ne potrà godere fino ad agosto e così via ma sempre non oltre dicembre 2023. Nella Provincia di Padova, ad esempio, si tratta ad oggi invece di 426 persone, tenendo conto però della più ampia popolazione di tale Provincia rispetto al Polesine”.

Per Colombo “il Reddito di Cittadinanza era uno strumento che andava rivisto in alcune sue parti per poterlo migliorare, come da tempo suggerivamo anche come Organizzazioni Sindacali, ma l’eliminazione apportata ora e la sua sostituzione con il “supporto per la formazione e il lavoro” per i cosiddetti occupabili e “l’assegno d’inclusione” da gennaio 2024 per gli “altri” soggetti appare una misura sbagliata, tesa solo a recuperare risorse prima destinate alla povertà da destinare irresponsabilmente ad altri capitoli e portatrice di ulteriori diseguaglianze sociali. Ciò spesso avviene, in questo come in altri delicati temi socio-economici, quando si affrontano le questioni strumentalmente, utilizzate come clave per meri calcoli di consenso elettorale.

Si è pertanto partiti da un elemento di ambiguità, sostenendo che il RdC aveva consentito a pochissimi di trovare lavoro. Premesso che, come dovrebbe avvenire per lo stesso concetto attuale di “occupabili”, andrebbe verificato con oggettività quanti dei percettori dell’attuale RdC siano davvero occupabili nel nostro mercato del lavoro, bisogna invece aver chiaro che il RdC non è uno strumento di politica attiva del lavoro ma uno strumento sociale di contrasto alla povertà, già presente in quasi tutti i Paesi europei.

Nel nostro Paese è certamente necessario rendere più efficaci le politiche attive del lavoro (privilegiando i Centri pubblici), che devono diventare una sorta di diritto soggettivo in capo a tutte le persone in età da lavoro, ma ciò vale appunto per tutti – a partire dalle lavoratrici e lavoratori che necessitano di essere accompagnati nelle loro transizioni lavorative frutto dei tanti cambiamenti attuali e futuri del mondo del lavoro – e non solo legarle strumentalmente al RdC”.

Dalla Cgil di Rovigo, secondo i dati Inps, ricordano che “lo strumento RdC, pur perfettibile, ha in questi anni aumentato di circa il 20% il reddito del 20% più povero della nostra popolazione che doveva inoltre spendere quanto veniva versato nella propria card RdC entro sei mesi dal percepimento, con quindi una propensione marginale al consumo del 100%.

Pertanto la progressiva eliminazione del RdC e la sua sostituzione con le altre misure parziali e con minori risorse economiche a disposizione (lasciando progressivamente senza un sostegno dignitoso i cosiddetti occupabili sulla carta), rischiano di aumentare i disagi sociali e di lasciare di fatto da sole molte persone ad affrontare la propria condizione di povertà.

I nuovi provvedimenti, dunque, adottano strumenti ineguali – l’Assegno di Inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro – per un’uguale condizione di bisogno economico ed avranno come unico effetto il fatto che molte famiglie che oggi percepiscono un sostegno al reddito saranno private della misura di contrasto alla povertà solo in ragione della composizione del proprio nucleo familiare (l’Ufficio Parlamentare di Bilancio calcola ben un terzo delle persone che ad oggi percepivano il RdC) e non della loro effettiva condizione di bisogno. In molti casi una strumentale colpevolizzazione della condizione di povertà e disagio.

A ciò si aggiunga che il nuovo sistema delineato dal Governo non tiene in alcuna considerazione l’esistenza del lavoro povero, con l’esclusione dei lavoratori poveri (che quindi lavorano!), tra i 18 e i 59 anni che non appartengano a famiglie con i requisiti sopra indicati. Pertanto, ad esempio, un giovane precario di 30/35 anni, pur in possesso dei requisiti economici richiesti, non riceverà alcun sostegno.

Ultimo elemento grave è infine quello di aver scaricato sui servizi pubblici sociali (entro ottobre 2023 secondo la norma) la verifica e certificazione delle persone che, pur non appartenendo ad un nucleo familiare con un minore o un disabile o con un over 60 anni potrebbero continuare a beneficiare del RdC fino a dicembre di quest’anno (e poi forse del più ridotto reddito d’inclusione).

Allo stato attuale moltissimi Comuni presentano forti carenze d’organico anche nei servizi sociali che rendono quasi impossibile tale importante lavoro in tempi accettabili perdare risposta rapida alla condizione di difficoltà delle persone. Ciò è avvenuto negli anni per i molto tagli alle risorse che hanno colpito gli Enti locali, sempre nella malintesa idea, ad oggi ancora in voga, che tali servizi (con il relativo personale) erano semplicemente un costo da abbattere. Si pensi in tal senso alla condizione di molti Comuni medio-piccoli della nostra Provincia – che già soffrono della piaga dello spopolamento – che ormai hanno gli assistenti sociali ad ore che operano in più Comuni e che spesso hanno dovuto esternalizzare tale servizio a cooperative o società esterne, con inevitabili frequenti turn over di personale che poco si addicono alla delicatezza delle condizioni da gestire.

Un sistema complessivo quindi da cambiare, come abbiamo già proposto al Governo, affrontando la complicata questione del contrasto vero alla povertà ed alle diseguaglianze non da posizioni ideologiche e strumentali, come purtroppo sta invece avvenendo.

Diversamente, i disagi e le stesse tensioni sociali rischieranno di ingigantirsi e si finirà nuovamente per fornire una platea di disperati e ricattabili a disposizione di imprese poco illuminate, particolarmente in settori più “poveri” di scarso valore aggiunto, che sfruttano tali persone per rimanere sul mercato, facendo pure una concorrenza sleale a quelli che invece vogliono agire nel rispetto delle regole contrattuali e di legge. Anche per questo proponiamo da tempo, inascoltati, di eliminare le forme più precarie di lavoro e che invece l’attuale Governo ha finito per ampliare. Anche per tali motivi la nostra mobilitazione continuerà nel prossimo autunno” conclude Pieralberto Colombo, segretario generale di Cgil Rovigo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultime notizie

Ultime notizie